Dopo il Covid, i Crazy Forks scelgono il teatro di strada

Ieri sera il loro spettacolo “Cronache di Firenze” è stato un successo, molto ben accolto dal pubblico.

Tre leggende storiche fiorentine accompagnate da canzoni popolari proposte da questa giovane compagnia che sarà presente all'area Pettini Burresi anche domani, sabato 18 luglio, alle 19:00.

Da quanto tempo esiste la compagnia?
Da poco prima del Covid. Ci conoscevamo già perché due di noi insegnavamo teatro e molti di loro sono stati nostri allievi. A novembre siamo andati a Roma e abbiamo partecipato e vinto il concorso Schegge d’Autore con un atto unico. Possiamo dire che questo è stato il primo progetto di questa nuova compagnia. Era un progetto che poi abbiamo sviluppato ed era destinato alla Limonaia di Villa Strozzi ma a causa della pandemia è rimasto bloccato.

Si può chiedere la vostra età?
I più grandi 27, i più piccoli 23.

Perché la scelta del teatro di strada?
In questa occasione specifica, durante la quarantena, vedendo il disagio sociale evidente e anche quello che provavamo noi ci è venuta l’idea di fare uno spettacolo estremamente popolare, accessibile a tutti in cui si recuperasse un po’ di tradizione fiorentina, un po’ che facesse stare bene le persone dopo tutto quello che era successo e soprattutto che potessimo fare tranquillamente dovunque. Volevamo fare qualcosa che parlasse ai cittadini, non rivolta agli addetti ai lavori o ai turisti ma a coloro che stanno sempre qua, agli abitanti. Perciò la formula migliore era proprio il teatro di strada, cioè metterci lì senza niente, senza luci, senza audio e farlo noi il teatro, con il corpo e con la voce.

La poetica della compagnia è quella, vorremmo fare un teatro di qualità, principalmente commedia perché ci piace far ridere le persone però che sia popolare, accessibile, in grado di parlare alle persone normali, a quelli che magari a teatro non ci andrebbero. Anche perché per noi il teatro è un regalo che aiuta le persone a tornare a casa con una sensazione piacevole, non appesantite.

L’idea è anche quella di crearsi un pubblico, magari la prossima cosa che faremo sarà diversa quando si potrà tornare nei teatri. Per esempio nello spettacolo di ieri c’erano due signore anziane con cui abbiamo parlato mentre facevamo pubblicità nel parco e che sono venute a vederci. Quando loro ti dicono «se rifate qualcosa noi torniamo» è un grande piacere.

Come vi allenate?
A livello fisico ci siamo molto concentrati sul corpo perché non avendo scenografia né luci quando ci buttiamo in pasto alla gente, dopo aver preso confidenza con il testo ci siamo focalizzati sul prendere confidenza con il nostro corpo. Gli esercizi veri e propri ce li ha insegnato Fiamma perché da questo punto di vista è molto competente, è diplomata in regia presso la Civica Scuola di Teatro "Paolo Grassi" di Milano. Lei ci ha istruito e ci ha portato fondamentalmente a creare una scenografia con i nostri corpi.

A un certo punto si creano dei personaggi fisici ma che rimangono solo formali, solo corpo, per cui ci siamo allenati a reagire nel corpo del personaggio e non da persona normale con una struttura imposta. Gli esercizi fisici che usiamo servono alla costruzione del gruppo e all'ascolto, che è fondamentale.

Quali sono le vostre principali influenze?
Ora sparo dei nomi grossi (risate) ma quando prepariamo uno spettacolo ci capita di citare Dario Fo, lui è un traguardo, un’ispirazione. Io (Fiammetta), sono molto legata al concetto di Strehler del teatro d’arte per tutti, del fatto di portare gli operai a teatro, di quello che faceva con Paolo Grassi al Piccolo. Per me le influenze sono quelle.

Invece i miei miti assoluti (Diletta) sono il Trio: Marchesini, Lopez, Solenghi per la loro comicità che non cade nella volgarità. Diciamo che chiamare la battuta con la volgarità è abbastanza semplice, una parolaccia ci può stare ma solo quello no. Preferisco la comicità genuina fatta di studio, che non sia solo "prendo faccio una battuta e faccio ridere". Mi piace anche poter cambiare personaggio, una persona sola che fa mille personaggi e che ognuno sia credibile fisicamente, vocalmente, psicologicamente. Che dietro ci sia una verità che arriva agli altri anche se fa ridere ma tu percepisci che è vero, ci credi che è quel personaggio che ti fa ridere e non l’attore che c’è dietro. E quindi loro per me sono un grandissimo esempio perché portavano dei prodotti estremamente genuini ed estremamente contaminati.

Prima il movimento o il sentimento?
Dipende da quello che fai, in questo caso prima il movimento ma non può valere per tutti gli spettacoli, ci sono dei momenti in cui il sentimento è predominante e quindi devi adattare il tuo corpo a quello che stai sentendo.

Progetti per il futuro?
Mettere in scena lo spettacolo scritto per il concorso a Roma e il documentario.
In questo periodo abbiamo girato un documentario sui vari sostegni alimentari autonomi, gestiti dai cittadini, che hanno preso piede durante il lockdown nei vari quartieri di Firenze. Per circa un mese abbiamo seguito varie realtà e fatto delle interviste. Tutto è partito dall'occupazione di Via del Leone della quale siamo stati testimoni. Vedere tutta questa umanità ci ha stimolato e abbiamo proposto a quei ragazzi di fare un documentario. Da lì abbiamo sentito altri gruppi e associazioni e il progetto è partito. La prima sarà molto probabilmente in quella zona: Piazza Tasso.

Poi sicuramente formalizzeremo il gruppo attraverso un’associazione culturale, cosa impossibile da fare durante il Covid. Ovviamente l’obiettivo è quello di lavorarci, perché questa è la nostra passione.

Come mai le “forchette matte”?
Nella nostra compagnia c’è un poeta che una sera dopo uno spettacolo ci recitò una poesia della quale ci siamo tutti innamorati.



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